Uno dei dessert più comuni in tutta l'America Latina e quindi anche in Messico, è la gelatina de sabores, dove per sabores si intende soprattutto frutta, ma non solo.
Essendo cominciata la stagione delle fragole, ho pensato quindi di preparare una gelatina di frutta fresca, anziché limitarmi a fare una di quelle buone ma artificialissime che si trovano già belle e pronte in certi negozietti etnici.
In Messico la gelatina de sabores è veramente onnipresente, a colazione, a pranzo o a cena, al ristorante, in pasticceria o anche per strada, ce ne sono per tutti i gusti, la mia preferita rimane pur sempre la gelatina de rompope, che sarebbe un liquore molto simile al vov.
Per chi volesse vedere come preparare gelatine di una bellezza impressionante, consiglio di vedere le gelatine di Gabriela, che sono delle vere opere d'arte.
Siccome io, come artista, sono decisamente scarso, mi sono concentrato sul sapore e in mancanza di una ricetta "ufficiale" di gelatina alla fragola, l'ho improvvisata facendo qualche ragionamento, per fortuna abbastanza azzeccato, su dosi e metodi per ottenere una gelatina dal sapore convincente e soprattutto di vero succo di frutta.
Ingredienti:
1Kg di fragole
100g di zucchero
4 limoni
2 dosi di gelatina neutra (a base di carragenina) per 400ml di acqua.
450ml circa di acqua
1 pizzico di sale
Procedimento:
ho proceduto in 2 fasi: alla sera ho lavato, pulito e tagliato le fragole, cospargendole di zucchero, un pizzico di sale, irrorandole col succo di 4 limoni e mettendole in frigo fino alla sera dopo. Poi ho preso due confezioni di gelatina neutra, cadauna per 410ml di acqua. Siccome il succo risultante delle fragole e del limone era di circa 400ml, ho misurato l'acqua mancante, circa 450ml e poi vi ho sciolto il preparato, portandolo a ebollizione.
Da notare che in pratica ho messo la metà del liquido consigliato sulle confezioni perché il rimanente, sotto forma di succo di frutta, lo volevo aggiungere senza cuocerlo. Inoltre per le fragolo ho usato poco zucchero perché il preparato contiene già una parte considerevole di zucchero e non volevo che risultasse stucchevole.
Una volta arrivata a ebollizione la gelatina, l'ho mescolata rapidamente al succo di fragole direttamente nello stampo. Dopo circa venti minuti, ho versato una minima parte delle fragole avanzate, quando la gelatina aveva già iniziato a rapprendersi, onde evitare di cuocere i frutti e per fare in modo che rimanessero galleggianti a metà altezza.
Forse ne avrei potuto mettere ancora di più, ma in fondo volevo fare più una gelatina di fragole che non delle fragole in gelatina... :-)
Il sapore non è stato alterato, quindi mi dichiaro soddisfatto del mio esperimento e mi riprometto di farne altri con tipi diversi di frutta fresca appena inizia la stagione.
Pregusto già quella di mirtilli o di lamponi e spero di riuscire a farne una di anguria.
Vedremo!
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giovedì 22 aprile 2010
Gelatina de fresas frescas
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martedì 20 aprile 2010
Il bussolano ovvero al busolán
Il cugino mantovano del bensone modenese è il bussolano mantovano e come quasi sempre capita nelle ricette somiglianti tra le due sponde del Po, quella gonzaghesca è più ricca di grassi.
Direi che sia fuori di dubbio che l'antenato comune sia nato probabilmente a metà strada e si sia diffuso in tutte le campagne circostanti, seppure cambiando nome ad ogni sosta. Che parliamo di bensone, di bussolano o di pinza, sempre di un pane dolce a base di uova, farina e grasso si tratta, anche se le proporzioni variano.
La ricetta di questo bussolano proviene dal sito della cucina mantovana e quando l'ho assaggiato ho provato una sorta di flashback, perché era sicuramente una delle ricette del repertorio di mia madre, che magari sfoderava quando non era in vena di fare cose più complicate. Si tratta di una ricetta assai semplice che non pone problemi di sorta.
Ingredienti:
400g farina tipo 0
150g zucchero
150g di strutto (o burro o metà e metà)
50g di latte
2 uova
una busta da 16g di lievito vanigliato
un pizzico di sale
Procedimento:
sbattere lo zucchero con lo strutto e quando sarà divenuto ben cremoso, aggiungere i tuorli d'uovo uno alla volta, riservando le chiare per dopo. Aggiungere la farina e il lievito e impastare versando il latte un po' alla volta. Montare a neve le chiare d'uovo con un pizzico di sale e incorporarle al resto, mescolando delicatamente. Infarinare una leccarda da forno e stendervi sopra l'impasto, volendo a forma di ciambella oppure a forma di semplice bastone, aiutandosi se necessario con un po' di farina per maneggiarlo meglio. Infornare per circa 30 minuti a 180 gradi, in ogni caso verificate con lo stecchino che l'interno sia cotto.
Il bussolano si presta molto ad essere gustato con un bicchiere di latte, ma certamente in campagna, a fine pasto, finiva imbevuto nel lambrusco.
Nonostante in origine il bussolano fosse un dolce a pasta dura, adatto proprio per essere intinto nel vino, la versione moderna si mantiene piacevolmente morbida e si scioglie in bocca.
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sabato 17 aprile 2010
Riso allo zafferano con pollo all'arancia (zarda palau)
C'è un aggettivo che ogni tanto mi viene spontaneo usare quando mi capita di assaggiare piatti che sono insieme prelibati e abbastanza complessi da assemblare e questa parola è sontuoso.
Nel caso dello zarda palau, ossia un piatto a base di riso e pollo all'arancia, di origine afghana, sontuoso è un aggettivo decisamente adatto perché si tratta di una ricetta raffinata, bella a vedersi, non banale da preparare per via delle cotture multiple, ma il risultato, almeno per i miei gusti, è decisamente notevole.
Si tratta di uno di quei piatti tipicamente mediorientali in cui s'intrecciano sapori dolci e salati, che sicuramente faranno storcere il naso a più di uno.
Pazienza, ce ne faremo una ragione e in fondo ne rimarrà di più per gli altri :-)
La ricetta originale proviene dal bellissimo libro di Tess Malloss (a cui potete persino dare una sbirciata su Google Books) a cui ho già attinto altre volte quando si tratta di cucina mediorientale.
In un epoca in cui l'Afghanistan raramente viene citato per dare notizie positive, a me fa doppiamente piacere scoprire un lato così affascinante di questo paese.
Ingredienti:
410g di riso basmati
250g zucchero di canna
8-10 pezzi di pollo
60g di mandorle pelate
30g di pistacchi
2 arance non trattate
1 cipolla dorata grande
1 noce di burro
1 bustina di zafferano
sale q.b.
olio q.b.
pepe nero q.b.
Procedimento:
per realizzare questa ricetta conviene tenere i fornelli liberi, perché ci sono diversi ingredienti da gestire. Se si vuole risparmiare tempo si possono preparare in contemporanea più "semilavorati", altrimenti si può procedere per fasi successive.
Sono partito con il pollo, che dev'essere rosolato in due cucchiai d'olio. Io avevo acquistato delle sopra-cosce senza pelle con ben altre intenzioni, ma poi ieri m'era venuta l'ispirazione di consultare il libro per vedere cosa farne. In realtà sarebbe più filologico usare del pollo in parti con la pelle, ma ho visto su qualche sito straniero che c'è anche chi usa solo petto, anche se dubito che in Afghanistan vadano tanto per il sottile :-)
Mentre il pollo rosola, affettate la cipolla. Quando il pollo sarà ben rosolato su tutti i lati, salate e pepate poi pescatelo e tenetelo da parte, mentre versate la cipolla nella padella e la soffriggete per bene senza farla bruciare. Quando la cipolla è pronta, rimettete il pollo e aggiungete 250ml di acqua, tappando con un coperchio e lasciando cuocere per circa 15 minuti a fuoco medio, poi spegnete. È importante che non evapori troppo rapidamente il liquido perché servirà successivamente, nel caso rabboccate con un po' d'acqua.
Mentre il pollo va per la sua strada, mettete a bagno il riso in acqua fredda e lavate le arance e poi tagliatene la scorza evitando la parte bianca. In un pentolino portate ad ebollizione un po' d'acqua e versateci le scorze d'arancia per 5 minuti, poi scolatele. Nello stesso pentolino versate 250ml di acqua, lo zucchero di canna e le scorze d'arancia e fate bollire per 10 minuti a fuoco moderato, attenzione che tende a fare schiuma e potrebbe uscire.
Contemporaneamente tostate le mandorle sempre a fuoco moderato con una noce di burro, girandole spesso per evitare che brucino.
Sul terzo fornello intanto portate a ebollizione 2 litri d'acqua salata e versate il riso che nel frattempo avete scolato. Il riso va cotto per massimo 8 minuti!
Accendete il forno sui 150-160 gradi e preparate una casseruola adatta. Io ho usato una tagine perché mi sembrava la cosa più adatta sia per il contesto sia per andare in forno, l'unico problema è che non entra con il suo coperchio, per cui dopo mi sono dovuto arrangiare. Insomma, supponendo che abbiate trovato un contenitore da forno adatto, abbastanza largo versate metà del riso e poi sistemateci sopra il pollo, quindi con un cucchiaio irrorate con metà del liquido di cottura e con una parte dello sciroppo con le scorze d'arancia, aggiungendo anche metà delle mandorle.
A posteriori penso sarebbe una buona idea scaldare questo contenitore, in modo che al momento di entrare in forno sia già ben caldo.
Infine coprite col rimanente riso, versando il rimanente liquido di cottura e quasi tutto lo sciroppo. Una piccola parte di sciroppo riservatela per l'ultimo tocco.
Tappate e mettete in forno. Io ho usato due fogli di carta stagnola e hanno funzionato benone.
Si cuoce il tutto per 40 minuti. Preparate lo zafferano versandolo in una tazza con due dita d'acqua tiepida. Verso il 30-simo minuto ho estratto il tutto dal forno, ho spruzzato con l'acqua di zafferano e cosparso con le rimanente mandorle e i pistacchi poi ho infornato nuovamente per 10 minuti.
Prima di servire scaldare i piatti individuali e al momento di servire potete usare il poco sciroppo rimasto per fare un po' di scena :-D
È chiaramente un piatto unico, riunisce primo, secondo e perfino il dessert!
È un po' laborioso come avete visto, ma non difficile, un piatto strepitoso da presentare per una cena tra amici di ampie vedute e dal palato raffinato.
O così mi pare.
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martedì 13 aprile 2010
Panuchos
Nel caso vi fosse avanzata della cochinita pibíl, la qual cosa sarebbe da considerare a mezza strada tra il miracolo e lo scandalo a queste longitudini, non vi disperate, potete riciclarla per farci i panuchos.
Dicesi panuchos, delle tortillas di mais riempite di frijoles refritos ossia il purè di fagioli, fritte e poi condite con carne o pesce (tipico il cazón, che sarebbe poi carne di squalo), cipolla e chile habanero, nel più puro stile yucateco. Tra le carni più usate, c'è appunto la cochinita pibíl, che si presta benissimo allo scopo. Qui nelle foto li vedete sia con cipolla rossa (cebolla morada) che cipolla dorata normale, ma quella rossa sarebbe più filologica.
Secondo Diana Kennedy, la prassi per preparare i panuchos prevede di infilare il purè di fagioli dentro la tortilla, perché da per scontato che le tortillas si gonfino durante la cottura sulla piastra (comál). In realtà si può anche spalmare la tortilla all'esterno e poi soffriggere brevemente in una piccola padella con olio sufficiente a coprirla, meno di mezzo dito insomma. Si tratta di friggere ciascun panucho per un paio di minuti al massimo onde evitare che diventi troppo duro.
Terminata la frittura lo si addobba con pezzetti carni e sopra le rondelle di cipolla con qualche pezzettino di chile habanero qua e là. Le rondelle di cipolla vengono sbollentate un minuto in acqua e aceto o acqua e limone giusto per togliere il gas e renderle morbide.
Tre panuchos sono perfetti come pranzo, né troppo, né troppo poco.
O almeno così sembra a me.
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venerdì 9 aprile 2010
Torta di riso alla modenese o, per meglio dire, alla Tlazolteotl
Tra i miei dolci modenesi preferiti c'è sicuramente la torta di riso, sulla cui origine non mi sbilancio, anche se da sommarie ricerche mi pare si possa attribuire alla tradizione ebraica.
Nel quaderno di mia madre c'erano due ricette piuttosto diverse una dall'altra, una appunto di provenienza ebraica, della zona di Finale Emilia, l'altra invece di non meglio specificata provenienza intramoenia. In effetti, assieme all'erbazzone dolce, la torta di riso è un classico della pasticceria modenese, anche se devo ammettere che non sempre le torte di riso che trovo in circolazione suscitano il mio entusiasmo. Sarà forse per il minimalismo di certe versioni, dove oltre al riso e alle uova c'è praticamente il nulla, sarà perché spesso vengono abbinate ad una base di simil pasta frolla che le rende un mattone piuttosto insulso, insomma, che devo dirvi, a me piace di più la mia versione, leggermente profumata al mandarino, risultato della fusione di queste due vecchie ricette.
Ingredienti:
1 litro di latte
200 di riso (rolo, arborio, vialone, carnaroli)
200g di zucchero
100g di mandorle
15g di burro
50g di mandarino candito
4 uova
1 cucchiaino di estratto di vaniglia
1 bicchierino di liquore all'anice tipo sassolino
una punta di cucchiaino di cannella macinata
pangrattato q.b.
sale q.b.
Procedimento:
versare il latte in una pentola assieme allo zucchero, alla vaniglia e a un pizzicone di sale. Quando inizia a bollire, versare il riso e mescolare di tanto in tanto. Mentre il riso cuoce, tostare le mandorle con una noce di burro, muovendole continuamente. Le mandorle devo diventare color marroncino chiaro, senza bruciarsi. Quando saranno ben tostate, spegnere e mettere da parte. Intanto assaggiate il riso, che per i miei gusti deve rimanere al dente, non spappolarsi.
Se il riso è cotto, spegnete e lasciate raffreddare. Approfittatene per triturare le mandorle e aggiungerle al riso, assieme al liquore e al mandarino candito tritato finemente. Nel frattempo imburrate uno stampo a cerniera e cospargetelo di abbondante pangrattato. Quando il composto è quasi freddo unite le uova sbattute amalgamando il tutto. Accendete il forno sui 180-190 gradi. e quando sarà giunto a temperatura infornate per circa 50 minuti o un'ora, molto dipenderà da quanto è umido il composto. La torta di riso dev'essere ben cotta, la parte superiore presenterà la tipica pellicina rossastra, mentre l'interno rimane piuttosto umido.
È una torta da consumare entro 2-3 giorni, ma dopo averla lasciata riposare almeno qualche ora.
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martedì 6 aprile 2010
Torta Barozzi strikes again
Siccome nella famigerata torta Barozzi sulla superficie si crea una pellicina quasi impalpabile che nella ricetta fin qui usata non si formava mai, ho compiuto qualche aggiustamento a naso.
Beh, per non essere la vera torta Barozzi, è una discreta goduria ugualmente.
Anche perché più d'una s'è lamentata del fatto che la vera torta Barozzi a volte è un po' troppo asciutta e invece a loro piace di più quando è umida.
Insomma, continua a non essere la vera torta Barozzi, ma in fondo... chi se ne frega?
Ingredienti:
300g zucchero
100g arachidi
100g mandorle
120g cioccolato fondente 85%
100g burro
6 cucchiaini di caffè
5 uova
1 bustina di vaniglia
sale
Il procedimento rimane identico a quello che diedi a suo tempo, con l'unica differenza che al momento di infornare la spolverizzo di zucchero a velo, anche se stavolta avrei dovuto metterne un pelo di meno per far si che non si veda.
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lunedì 5 aprile 2010
Gallina pinta estilo Sinaloa
Sfogliando uno dei libri di Diana Kennedy, guru della cucina messicana, sono rimasto colpito dalla gallina pinta, un piatto tipico dello stato di Sinaloa, qui nella versione di tale señora Consuelo Martínez.
E per dirla con René Magritte, dedicata al quale c'è una bella mostra nel palazzo di Bellas Artes a Città del Messico, dovrei sottotitolare la fotografia "este no es un pozole". In realtà questa zuppa è uno strettissimo parente del pozole, con il quale condivide la curiosa combinazione del mais gigante (maiz pozolero) e della carne bollita.
Per qualche curioso motivo il nome del piatto è assolutamente fuorviante, dato che di volatili nella preparazione non c'è traccia. La gallina maculata infatti è un sostanziosissmo piatto a base di carne bovina e suina, con l'aggiunta di fagioli, chile ancho e mais.
Confrontando la ricetta del libro con quelle trovate in rete, noto la presenza in queste ultime del coriandolo fresco, che ovviamente ciascuno è libero di aggiungere al proprio piatto.
Ingredienti:
900g circa di coda di bovino
500g circa di costaiola di maiale o coppa
400g di fagioli borlotti
250g di mais mote
250g di mais secco per pozole
2 spicchi d'aglio grandi
2 chiles anchos
6 grani di pepe nero
mezza cipolla
mezza carota
sale q.b.
acqua q.b.
olio di mais q.b.
coriandolo fresco (opz.)
Procedimento:
se il mais è del tipo secco, occorrerà metterlo a bagno almeno la sera prima.
In Italia il mais più simile al mais gigante messicano è il mais mote che di solito vendono secco nei negozi di prodotti etnici, soprattutto latini.
Per prima cosa si cuoce il mais in abbondante acqua. Se avete la pentola a pressione, consiglio di usarla, il mais fiorirà più facilmente. C'è chi sostiene che l'acqua vada salata prima, chi dopo, io di solito salo dopo aver terminato la cottura del mais, finché i chicchi si aprono. Dopo circa un'oretta conviene iniziare a cuocere a parte anche i pezzi di coda nella maniera più semplice, in acqua con cipolla, carota, pepe e sale. Il livello dell'acqua dev'essere sufficiente a coprire la carne (approssimativamente due litri). Quando la coda sarà tenera, tagliate anche la carne di maiale a cubetti e aggiungetela al resto. Dopo un' ora circa prendete i chiles e tostateli brevemente senza farli bruciare con un filo d'olio. I chiles si aggiungono aperti e ripuliti dai semi quando la pentola è ben calda e si fanno tostare meno di un minuto per lato, poi si mettono a raffreddare. Uno lo si taglia a striscioline mentre l'altro si frulla con un po' di brodo, poi entrambi si uniscono al bollito. Unite anche il mais, eventualmente con un po' di acqua di cottura se il livello del liquido fosse basso. A questo punto aggiungere anche i fagioli scolati e proseguire la cottura per una ventina di minuti.
Per queste preparazioni che richiedono molto spazio uso di solito il pentolone d'alluminio, quello che vedete sotto.
Si serve ben caldo e, come dicevo prima, volendo si può aggiungere un po' di coriandolo fresco.
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