Oggi scomodo Magritte per darvi la ricetta di una non-Sachertorte.
Infatti, come potete vedere dalle foto, non si tratta affatto di una Sacher, benché togliendo i pupazzetti e i cotillons s'intraveda una copertura lucida al cioccolato somigliante a quella della Sacher.
In realtà l'antenata della ricetta di questa non Sachertorte proviene dalla esimia professoressa Rigoberta Manchina, in arte Paola, la quale, è una specialista di tutto ciò che contiene cioccolato fondente.
Partendo dalla sua lussureggiante versione di Sacher, il sottoscritto ha pensato bene di introdurre una variazione fondamentale: eliminare la confettura di albicocca che, avrebbe perentoriamente sentenziato mia madre, non sa né di me né di te e sostituirla con una bella creme du marron per dirla alla francese, il che da sempre un certo tono alla discussione quando si parla di cucina.
Ora, mi si obietterà che la confettura di albicocca, con quel suo lieve sapore asprigno dava un certo non so che e che bla, bla, bla.
Oh, ma io vi ho detto per caso di voler fare la Sacher?
Manco per sogno.
Ingredienti:
- 6 uova
- 100 grammi di farina
- 150 grammi di zucchero in polvere (non uso lo zucchero a velo, frullo lo zucchero semolato)
- 150 grammi di burro
- 250 grammi di cioccolato fondente extra
- marmellata di marroni
- 200 grammi di cioccolato fondente extra, volendo anche quello aromatizzato all'arancia o alla menta o al peperoncino
Procedimento:
montate a spuma il burro ammorbidito con lo zucchero a velo (io macino lo zucchero semolato col macinino da caffè e viene benissimo).
Unite i tuorli (uno alla volta) e mescolate il tutto. A parte montate a neve gli albumi con un pizzicone di sale e aggiungeteli un po' alla volta al resto;
fondete il cioccolato a bagnomaria e unitelo al composto, se risulta troppo denso, allungate con un cicinin di latte.
Mettere il tutto in una tortiera imburrata e infarinata (almeno 24 cm di diametro, ma 26 è meglio, magari con la cerniera;
infornate a forno già caldo a 170° e cuocere per circa 40 minuti;
Lasciate raffreddare e tagliate la torta in due dischi. Farcite con la marmellata di castagne e riassemblate.
Per la copertura:
mettete il cioccolato tagliato a pezzi in un pentolino e fatelo sciogliere a bagno maria.
Versate il cioccolato fuso sulla torta, se necessario con l’aiuto di una spatola nei punti difficili.
Ulteriori guarnizioni ad libitum.
Volendo, stendete un velo sottilissimo di marmellata sulla superficie della torta prima della copertura.
NB: la copertura deve ricoprire tutta la torta, sia la superficie superiore che i bordi, quindi preparatela in dose abbondante e fatela colare direttamente sulla torta.
Se mettete la torta su una grata e sotto ci posizionate un foglio di carta-forno, potete recuperare l'esubero di cioccolata fusa e fare felice qualche marmocchio.
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martedì 29 aprile 2008
Questa non è una Sacher
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domenica 27 aprile 2008
Alambre de bistec o alambre con bistec?
Quando entrai per la prima volta in una delle più famose taquerias di Città del Messico, ahí en Los parados (perché i tacos vanno mangiati in piedi e di qui il nome) , esquina Monterrey y Baja California, ormai dieci anni or sono, la cosa che mi colpì di più fu la destrezza del taquero nel fare tutto con l'ausilio di due coltelli.
In una mano una specie di mannaia degna di Jack Nicholson in Shining, nell'altra un coltello di quelli grandi e affilati, che avrebbe fatto senz'altro la felicità di Hannibal Lechter.
Mulinando vorticosamente queste armi micidiali, girava, sollevava e tagliava rapidamente e con la massima precisione le vivande su un taglierone nel quale dovevano aver incontrato gloriosa fine tonnellate di bovini e suini, quintali di chiles serranos toreados e interi campi coltivati a cipolle, alla moda di quei combattimenti rituali aztechi in cui si concedeva ad un guerriero avversario di rango particolarmente elevato l'ultimo duello prima di venire sacrificato al dio Huitzilopochtli.
Persino le piccole ciotole di terracotta con dentro queso fundido (il formaggio oaxaca fuso, magari con l'aggiunta di un po' di chorizo per insaporirlo ulterioremente) venivano abilmente riempite, manovrate e servite senza mai separarsi da quei due fenomenali attrezzi.
Questo prologo per introdurre un piatto abbastanza semplice e assolutamente tipico di qualsiasi taqueria del DF (la capitale), con buona pace di fajitas e burritos. Ecco, se volete un piccolo assaggio di vero Messico senza ricadere sull'altra sponda del Rio Bravo, nel solito equivoco tex-mex, e senza dover scendere a troppi compromessi, preparatevi un bel alambre de bistéc.
L'unica difficoltà consiste nel preparare tortillas de maiz, ma la farina è reperibile on-line dal solito Castroni (vedi a fianco l'indirizzo del sito) o in qualche bottega latina. Occhio però a non prendere quella precotta colombiana per fare arepas o tamales, dovete cercare quella chiamata masa mixta o masa harina, di mais bianco per tortillas, tipicamente di provenienza messicana o Usa, benedetti e dannati gringos! ;-)
Ingredienti per 4 persone:
500g di carne di manzo o vitellone per carpaccio o fettine molto sottili.
20 tortillas o più
4 fettine di bacon o pancetta affumicata (o più se vi piace)
2 peperoni verdi grandi
1 cipolla grande
pepe q.b.
salsa worchester (opz.)
lime, da spremere al gusto
chile serrano, da fare toreado, al gusto
Procedimento:
Consiglio di iniziare con la preparazione delle tortillas, in modo da sfruttare meglio qualche tempo morto. In questo modo il tempo di preparazione si riduce ad una mezzoretta (o mezzorata come dice Salvo Montalbano...).
Al momento di scrivere non ho ancora inserito la ricetta per fare vere tortillas casarecce, ma prometto di farlo quanto prima, dato che ho già foto, video e devo solo mettere assieme il tutto, condito con le mie solite inevitabili divagazioni che non vorrete certo perdervi...
Nel frattempo spremete le meningi e usate questa ricetta in lingua originale perché tutte quelle che ho letto in italiano sono da censurare senza appello (alla decima versione che riproponeva la precedente o inseriva farina di grano, ho grugnito e desistito...).
Se proprio non ve la sentite o non avete trovato la farina di mais, potete usare obtorto collo tortillas de harina già pronte.
Tagliare a quadri i peperoni e la cipolla e saltarli in padella con un filo d'olio di mais. Quando saranno appassiti, metterli da parte.
Scaldate nel frattempo la bistecchiera e ungete la carne, io consiglio quella per il carpaccio perché non farete nessuna fatica a tagliarla e si cuoce molto rapidamente. Ovviamente uno può preparare questo piatto anche sulla griglia a carbonella, anzi, a Città del Messico è proprio così che si fa, a fuoco di legna o di carbone, altro che gas!
Iniziate arrostendo la pancetta affumicata, che vi servirà anche ad ungere la bistecchiera, fatela diventare bella croccante, poi cuocere la carne appena il necessario, metterla sul tagliere e ridurla in striscioline assieme alla pancetta.
Rimetterla sul fuoco per qualche minuto insieme a cipolla e peperoni, aggiungere un po' di salsa worchester, se vi piace, e servirla direttamente su un piatto di 2 tortillas. È importante che questo misto di carne e verdura non diventi secco, ma rimanga sugoso.
A questo punto rimane solo da decidere la salsa d'accompagnamento.
In ogni taqueria che si rispetti avrete una scelta tra almeno quattro o cinque salse, più o meno piccanti, ma in quelle più frequentate ne potete trovare anche dieci o dodici. Dovrò decidermi un giorno a scrivere due righe su queste benedette salsitas, che sono indispensabili almeno quanto un buon caffè appena alzati.
In mancanza di salsitas, potete prendere un peperoncino piccante di quelli verdi freschi e metterlo sulla piastra. Quando sarà ben ustionato, cospargetelo di succo di lime.
In questo modo si fanno i chiles serranos toreados. A voi la scelta se mangiarli un pezzettino alla volta o dar fuoco alle polveri mettendoli assieme al resto.
Già che avete la piastra accesa è altamente consigliabile sfruttarla per arrostire anche qualche cipollotto (che in Messico chiamano cebollitas cambray) da condire sempre con succo di lime.
È un classico infatti chiedere un ordine a parte di cipollotti arrostiti o magari di aggiungere anche strisce di chile poblano da aggiungere al alambre.
Insomma, ma allora, quale sarà mai la differenza tra un alambre de bistéc o un alambre con bistéc?
Beh, forse se abbondate con le verdure a scapito della carne sarà con, altrimenti sarà de.
:-)
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martedì 15 aprile 2008
Cous-cous del sultano e non solo
Premessa: non sono mai stato in Marocco, però ho un amico marocchino, Aziz, un vero personaggio, un omone dagli occhi di bragia, che, incontrato per strada, potrebbe suscitare in voi il dubbio di esser giunti sulle rive dell'Acheronte, al cospetto del leggendario Caron dimonio.
In realtà è una persona straordinariamente buona e generosa, oltre ad essere un eccellente cuoco.
Una volta mi promise di insegnarmi a fare il cous-cous e io lo presi in parola. Organizzammo una mega cena a base di cous-cous (di vari tipi) e mi fece vedere tutte le fasi della preparazione, compresa l' ingegnosa costruzione dell'alambicco nel quale cuocere (o finire di cuocere) il cous-cous, di cui vedete una foto più sotto.
Il tipo che ha sempre riscosso il maggior successo, a tutte le latitudini e longitudini, rimane però il cous-cous con condimento del sultano e quella che do io è forse una variante di molte altre simili che potete trovare su internet o sui libri, ma francamente, non mi è mai venuto il dubbio che le altre potessero essere meglio ;-)
Ingredienti x 6 persone:
pollo a pezzi a sufficienza (almeno 12 pezzi a scelta)
500g di cous cous medio
4 cipolle dorate grosse
100g uvetta passa
50g pinoli
1 scatola di ceci
cannella macinata q.b.
pepe macinato q.b.
zucchero q.b.
olio extra vergine 6 cucchiai
1 bustina di zafferano (125 mg) o curcuma
20g di burro
Procedimento:
Mettere a bagno in mezzo litro d'acqua calda l'uva passa, possibilmente mezz'ora prima.
Mettere il pollo tagliato a pezzi in un'altra casseruola con un filo d'olio, pepe e sale e fatelo dorare per bene, fino a quando non e' quasi cotto (almeno 3 quarti d'ora).
Tagliare le cipolle a dischi e metterle in una casseruola con 2 cucchiai d'olio, salare.
Nel frattempo tostare i pinoli a parte con un cucchiaino d'olio, finche' diventano appena rossi.
Quando la cipolla e' appassita bene, aggiungere l'uvetta e un poco dell'acqua utilizzata per ammollarla.
Aggiungere lo zafferano o la curcuma e mescolare bene.
Aggiungere i pinoli tostati e ancora un po' di acqua e lasciare cuocere 10 minuti.
Aggiungere i ceci
Aggiungere la cannella
Aggiungere uno o due cucchiai di zucchero, secondo i gusti.
Aggiustare di sale e pepe se necessario e lasciare restringere il liquido.
Unire la salsa al pollo e portare a termine la cottura.
Per la preparazione del cous-cous potete seguire o le istruzioni contenute sulla confezione (metodo rapido), oppure utilizzare il procedimento più lungo e articolato, che però a detta di alcuni sarebbe superfluo essendo il cous cous precotto. In realtà secondo me il cous cous fatto col metodo lungo viene meglio e il fatto della precottura non c'entra proprio niente.
Il pregio della cottura (o ri-cottura) a vapore sta nel fatto che il cous-cous non si gonfia eccessivamente e non risulterà mai troppo umido, mentre quando si prepara con il metodo rapido bisogna misurare abbastanza bene la quantità d'acqua necessaria, se no si rischia che diventi troppo bagnato.
Il metodo lungo consiste intanto nel preparare un "brodo matto" con dei pezzi di pollo extra che poi magari ad un certo punto potete tirare fuori e unire al resto facendo finta di niente ;-) assieme a delle verdure come zucchine, carote, cipolla, aglio, sedano, piselli, fagiolini, insomma, quel che avete a disposizione o trovate al mercato. Quando siete più o meno a metà cottura col resto, cominciate a preparare il cous-cous versandolo in un piatto molto largo e dai bordi alti e lo bagnate leggermente con acqua fredda salata. Per bagnare leggermente intendo proprio spruzzare con le mani l'acqua sopra al cous-cous, finché la parte superiore risulta uniformemente umida. Poi lo lasciate a riposo una decina di minuti. Prendete poi una pentola coi buchi nella parte inferiori che si incastri alla perfezione sopra alla pentola nella quale state cuocendo il brodo.
Con un cucchiaio di legno dai rebbi molto larghi mescolate il cous-cous che nel frattempo dovrebbe aver cominciato a gonfiarsi un po', sgranandolo per bene, non devono rimanere grumi.
Nella pentola coi buchi, prima di posizionarla su quella del brodo, cospargete il
cous-cous uniformemente, senza pigiarlo, dovete spargerlo a pioggia, in modo che si depositi uniformemente. A questo punto mettete la pentola col cous-cous sopra l'altra e tappate con un coperchio. Se vedete che dopo un po' il vapore esce dalle fessure tra le due pentole dovrete fare come ho fatto io, cioè sigillare la fessura usando la pellicola aderente.
Questa operazione, per quel che ho sentito dire, in Marocco la fanno con della pasta da pane, ma le pentole hanno una forma diversa da quelle che usiamo noi.
Quando vedrete che il vapore del brodo esce dal cous-cous, significa che la sigillatura ha funzionato e a quel punto dovete solo aspettare il giusto punto di cottura.
Quando è pronto, a vostro insindacabile giudizio, versatelo in un piatto da portata largo e scioglieteci qualche fiocco di burro, mescolandolo sempre con la forchettona di legno per non fargli fare grumi.
Il buon Aziz, quando m'insegnò, ci mise persino del parmigiano grattuggiato e alla mia domanda sul perché rispose candidamente: perché diventa più buono!
T'è capì?
A voi la scelta comunque.
A questo punto corredate con il pollo (che potete preparare o come ho brevemente detto sopra oppure con un condimento di verdure come nella foto sotto, aggiungendo delle listarelle di peperone, rondelle di cipolla e zenzero fresco a fettine) e volendo servite a parte il condimento del sultano. Bagnate il cous cous con qualche cucchiaio del brodo matto rimasto, ad libitum.
In realtà il pollo è un di più, potete tranquillamente mangiare il cous cous con il condimento del sultano e basta, le calorie non mancheranno di certo!
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giovedì 10 aprile 2008
Per chi non si acconta della pasta al burro
A volte capita di dover imbastire un primo con quel che c'è in dispensa e magari anche in fretta perché è s'è già fatta una certa ora.
In questi frangenti, è d'uopo inventare qualcosa, se non si vuole ricadere nel sempre validissimo olio -cacio-pepe, aglio-olio-peperoncino-prezzemolo, per non dire burro e salvia, condimento principe per i tortelloni fatti in casa, ma piuttosto minimalista in abbinamento a delle comuni penne di grano duro.
Insomma, tutta 'sta fola per dire che qualche giorno fa m'è venuta l'ispirazione per delle ruote ai pistacchi di Bronte e acciuga.
Ora, buttata lì così magari non suscitano particolare entusiasmo, ma d'altro canto io non sono mica francese!
E che c'entra essere francesi direte voi?
C'entra dico io perché qualcosa come 22 o 23 anni fa andai per qualche giorno a Parigi con un amico mio e devo dire che, nonostante il budget piuttosto risicato, trovammo quasi sempre la maniera di mangiare bene, a colpi di menù e eau de ville.
Il quasi si riferisce alla volta in cui, invece, dei nostri conoscenti ci portarono in un ristorante dove la carta delle vivande abbondava di piatti dai nomi affascinanti quanto impenetrabili. A ciò si aggiunga che io all'epoca di francese ne masticavo proprio pochissimo, come adesso, solo che adesso in quel posto lì non mi fregherebbero più!
Vi dico solo che, come potete constatare, dopo 23 anni, mi ricordo ancora di quel fatidico pranzo...
Insomma, fate conto che io sapessi il francese come lo sapeva Totò (noio voulevam savoir...) e in questo sfavillante menù io abbia finito per scegliere, ma sarebbero più preciso dire pescare, le grand piat del Duc de Menansò avec un contorn de pommes rouges finement racolt col man dans l'ort d'un contadin et saboreux sardines pesqué une a une par un pescadour avec deux marron acsé apres le midi d'un faune e chiaramente vi portano do sarachi (*) con sei striminzite fettine di mela e basta.
(*) saraca, ovvero aringa sotto sale, in dialátt mudnés.
Sandrine, non me ne volere, era solo un aneddoto! :-D
Insomma, anche se il titolo non è sontuoso come quello del famigerato piatto di saracche francesi, credo che il risultato sia meno inquietante. Veniamo quindi al dunque!
Ingredienti: un cucchiaio colmo di pistacchi di Bronte a testa
2 acciughe sott'olio a testa
olio extravergine q.b.
macinata di prezzemolo fresco (ad libitum)
peperoncino (ad libitum)
pasta lunga o corta, ma, secondo me, dei bigoli ruvidi sarebbero la morte giusta.
Procedimento: macinare finemente i pistacchi e metterli nell'olio caldo per qualche minuto, senza farli bruciare!
Spegnere e aggiungere il pestino di acciughe.
Condire la pasta (AL DENTE!) facendola saltare per un paio di minuti (aggiungendo il prezzemolo se volete).
E tenete giù le mani dal parmigiano reggiano.
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domenica 6 aprile 2008
Cocoles
La ricetta dei cocoles è il risultato di molti esperimenti, fatti nel corso degli anni, nel tentativo di riprodurre un tipo di pane semidolce che in Messico si acquista frequentemente dalle marchantitas, quasi sempre donne indigene che te ne vendono un sacchetto per 10 pesos, salvo aumenti a causa dell'inflazione.
cocoles |
Si tratta quindi di un dolce di origini piuttosto umili, ma non per questo meno buono, anzi, è stato subito uno dei miei primi amori.
Come per altre specialità, è un classico trovare anche un changarrito de monjas (un chiosco di suore) dove vendono la versione raffinata dei cocoles, magari a forma di treccia e con semi di sesamo sopra, chiamati cemitas.
Potrei anche sbagliare in questa definizione, il fatto è che neppure quella messicana di mia moglie è riuscita a darmi una risposta convincentissima sulla differenza tra cocoles e cemitas!
piloncillo |
L'importante è non sostituire lo zucchero di canna grezzo con lo zucchero raffinato bianco perché il sapore tipico di questo pane è in buona parte dovuto proprio al gusto del piloncillo.
Ci ho messo un po' per trovare una proporzione soddisfacente tra gli ingredienti, essendo partito da una ricetta scovata chissà dove dove c'era burro in quantità. In realtà ho sempre avuto il dubbio che quella fosse una ricetta troppo raffinata, figuriamoci se nel pueblito la povera indigena si mette a cucinare col burro, cioé il burro ce l'ha magari, ma nel senso dell'asinello per trasportare legna, non certo della mantequilla. Inoltre, a novembre, passando per Querétaro, sono incappato in una specie di sagra dove c'erano stand di panettieri e fermandomi in uno dove vendevano appunto cocoles, ho chiesto esplicitamente al panadero se usava questo o quello e lui mi ha confermato l'uso della manteca (che vuol dire strutto, mentre il burro è mantequilla).Per cui in quest'ultimo tentativo ho preso la decisione di eliminare completamente il burro e sostituirlo con metà dose di strutto.
Per chi volesse saperne di più su come si produce il piloncillo, consiglio questo video, dove la figlia di un contadino della Huasteca, spiega tutto il processo che più artigianale di così impossibile.
Ingredienti x 8 cocoles grandi:
500g di farina tipo 2
250g di farina tipo 0
50g strutto
125g piloncillo o zucchero di canna grezzo tipo mascobado o dulcita
latte (250ml)
acqua (200 ml)
due cucchiai pieni di semi d'anice
2g di lievito di birra fresco
semi di sesamo q.b. (opzionali)
pizzico di sale (opzionale)
Procedimento:
Impastare la farina con lo strutto ammorbidito, lo zucchero, il lievito fresco sciolto con un cucchiaino di zucchero (basta che mettiate il lievito in una tazza, aggiungiate lo zucchero e mescoliate per qualche minuto, si liquefa come il sangue di San Gennaro...) e i semi d'anice.
Aggiungete un po' alla volta il latte e l'acqua finché l'impasto non diventa ben amalgamato, morbido, si deve staccare bene dalla tavola. E se avete l'impastatrice, tanto meglio. Mettete a lievitare qualche ora nel forno spento, al riparo, fino a quando avrà dato chiari segni di essersi gonfiato, ma senza aspettare il raddoppio di volume. Coprite il contenitore con della pellicola, così non si secca la superficie.
Porzionate l'impasto suddividendolo in 8 porzioni grandi o 16 piccole. Se siete più bravi e pazienti di me, farete delle perfette forme a rombi arrotondati (la forma perfetta del cocol).
Disponeteli su una o più teglie, con spazio a sufficienza per la lievitazione finale. Metteteli nuovamente a lievitare per un'oretta, infarinate la superficie leggermente e copriteli per evitare che si asciughino. Scaldate il forno a 220 gradi e cuocete per circa 15 min.
I cocoles devono assumere un colore rossiccio, ma senza esagerare, la crosta deve rimanere sottilissima, non devono essere croccanti, ma morbidi e ben cotti.
Varianti possibili: aggiunta di cannella macinata nell'impasto e/o 2 chiodi di garofano.
Questa ricetta la faccio spesso, l'ultima volta sono venuti così.
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sabato 5 aprile 2008
Il Messico tra cucina, tradizione e globalizzazione
Stamattina sono incappato in una serie di articoli interessanti sul Messico, pubblicati dall'editore SlowFood.it qualche anno fa.
Inutile farla lunga, è molto più interessante leggerli.
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mercoledì 2 aprile 2008
Cucina messicana tradizionale
Qualcuno avrà notato forse che recentemente ho fatto una piccola aggiunta al titolo del sito.
Essendo la cucina messicana tradizionale la vera ragione d'essere di questo sito, dove poi ovviamente è ammessa e incoraggiata la divagazione a fini strettamente gastronomici, che ne direste di un non brevissimo viaggio fotografico tra alcune delle specialità più tipiche della vera cucina messicana così come si mangia a Città del Messico?
Le foto, purtroppo di qualità non sempre eccellente, sono ricordi dell'ultimo viaggio, tra ottobre e novembre scorsi, al quale avevo già accennato in precedenza.
Il messicano della classe media ama senz'altro fare colazione per strada. Far colazione per strada va inteso letteralmente, nel senso che in genere agli angoli delle strade più frequentate sono posizionati i tipici e discussi changarritos, cioé le baracchine dei venditori ambulanti che in Messico sono per lo più stanziali (di qui le polemiche e le periodiche risse politico-amministrative...). Spesso sono strategicamente posizionati uno in fila all'altro e preparano cose diverse, si va dalle spremute di frutta fresca, ai tacos, alle quesadillas, ai guisados (stufati), tutti da gustare rigorosamente in piedi, magari mentre si aspetta il pesero, il minibus a costi popolari con la musica a cento decibel e le porte perennemente aperte.
Noi invece, forti dell'euro, abbiamo spesso fatto colazione nei ristoranti, tenendo presente che in Messico i ristoranti sono aperti tutto il giorno (tranne qualche rara eccezione) e servono dalla colazione alla cena ininterrottamente, a prezzi molto competitivi con una striminzita colazione italiana al bar.
Se la sera prima ci avete dato dentro con la birra, potete aiutarvi a superare la cruda con una scodella di menudo jalisciense (deliziosa zuppetta di trippa molto piccante). Io non avevo sbornie da smaltire ma solo 4 anni di astinenza dal Messico che sono molto peggio!
Se invece vi siete alzati con molto appetito, una sosta al mercato rionale, dove troverete l'immancabile banco con las carnitas appena cotte, vi preparerà nel modo più saporito ad una lunga giornata di lavoro (o di turismo). Qui sotto vedete l'antro del mercato centrale a Guanajuato, una delle più belle città del Messico e non solo, visto che è stata dichiarata "patrimonio dell'umanità" da parte dell'Unesco.
Las carnitas sono le parti meno nobili del maiale, come la lingua, le cotiche (il famoso chicharrón), le orecchie, il codino, lo zampetto ed altre frattaglie, fritte nello strutto, in enormi paioli di rame.
Al taquero dovete solo dire che parte vi interessa e la quantità, misurata in tacos, e lui vi sminuzzerà la carne sul tagliere, servendovela sulle tortillas di mais appena cotte, corredata di coriandolo, cipolla e salsitas di vostro gradimento.
Ovviamente non è obbligatorio mangiare carne al mattino, è possibile anche fare colazione alla maniera "italiana", con cornetto e caffè, la pasticceria messicana è meticcia, ossia ha origine da ricette portate dall'Europa, rivisitate secondo i gusti locali. Qui vedete ad esempio una bella cesta di paste e brioche con servizio "a domicilio", dato che il pasticcere è arrivato con un furgoncino volkswagen strombazzante direttamente sotto casa di mio cognato.
Sono sicuro che Mau avrà un leggero mancamento nel vedere las conchas (quelle paste di forma tonda con lo zucchero sopra), los cuernitos, las donas de chocolate, los garibaldis y los daneses.
Altrimenti si può fare un salto in una churreria, dove tuffare i churros appena fritti e rotolati nello zucchero e nella cannella in una tazza di cioccolata calda.
Non è un caso che stia dando spazio alla colazione, in Messico esiste la buona abitudine di fare una colazione abbondante, magari a spese della cena.
Sempre a colazione o al limite a mezza mattina, è un classico mangiare i molletes, panini del tipo bolillos, tagliati a metà, imburrati e scaldati sulla piastra, coperti di queso oaxaca (formaggio a pasta filata che trovo simile al miglior caciocavallo pugliese fresco), fuso sopra una spalmata di frijoles refritos (purè di fagioli) e guarniti con salsa pico de gallo (pomodoro, chile serrano, coriandolo, cipolla).
Se avete proprio una fame da orbi, e io l'ho avuto per almeno quindici giorni dopo essere arrivato nella Madre Tierra, un simpatico tris a scelta di specialità, ad esempio huevos revueltos con salsa verde, chilaquiles verdes con pollo (tortilla fritta, pollo e salsa di pomodoro verde), frijoles refritos con chorizo (purè di fagioli con salsiccia).
Se al mattino non avete esagerato, verso le 2 o le 3 del pomeriggio potrebbe venirvi un certo languorino. Ecco, ci sono alcuni ristoranti in cui vado solo quando ho proprio fame perché sarebbe uno spreco andare inappetenti. Uno si questi è il Sabor del tiempo, vicino al World Trade Center, ex Hotel de México, abbastanza vicino a casa mia da poterci anche andare a piedi.
Uno dei miei piatti preferiti, tra l'altro non facile da trovare dappertutto, sono i huauzontles (i germogli della pianta d'amaranto). Rivestiti di queso oaxaca, impanati, fritti e poi ricoperti da una salsina di pomodoro deliziosa, sono uno di quei piatti che un po' per necessità e un po' per ghiottoneria si finisce a mangiare con le mani e in qualche modo conservano almeno in parte origini precortesiane.
Se non c'è tempo o possibilità per un pranzo al ristorante con tutti i crismi, lo spuntino, classico dei classici nel Distrito Federal, è a base di tacos al pastor, che per me dev'essere quello del ristorante Tizoncito.
Su una piccola tortilla l'abile taquero fa volare con fulminei colpi di coltello, i pezzettini di ananas, di carne di maiale marinata e arrostita al carbone sugli appositi spiedi, guarnita da coriandolo, cipolla tritata e salsa a piacimento. Questo è il rito ineludibile appena scendo dall'aereo, prendere un taxi che mi porti con le valigie direttamente al Tizoncito, esquina Campeche con Tamaulipas, pase lo que pase.
Al sabato pomeriggio o alla domenica, è un classico andare a passeggio per Coyoacán, il quartiere degli artisti, che fu di Diego Rivera e di Frida Kahlo, l'antico paesello dove Hernán Cortés decise di costruire la sua residenza, circondato da quelle degli altri conquistadores.
Nella piazza antistante San Juan Bautista si va sempre a posizionare il venditore di elotes asados e di esquites asados. Gli elotes asados sono le pannocchie cotte al carbone, spruzzate con il limone (si dice limón ma per noi sarebbe l'esotico lime) , il sale e il chile piquín. I secondi sono i grani del mais staccati dalla pannocchia e messi a cuocere alla piastra con un filo d'olio di mais, assieme a pezzi di chile de arból e a foglie di epazote, una pianta aromatica usata in molti piatti tradizionali.
Questa merienda decisamente azteca, è una delle mie preferite. Non si trova ad ogni angolo, in realtà per trovare gli esquites bisogna andare in cerca di qualche simpatica venditrice indigena, nelle vie intorno allo Zocalo di Città del Messico, oppure al mercato di Coyoacán oppure aspettare questo specialista il sabato...
Purtroppo il mais che si trova in Italia non è adatto essendo di una variante dolce, mentre il mais messicano è bianco e quando si cuoce non diventa appiccicoso. Chissà, forse quest'anno sarà l'anno buono per piantare qualche chicco di mais in giardino...
Rimanendo in tema di mais, i gourmets messicani sono molto orgogliosi di questa prelibatezza dal colore cinereo, il cuitlacoche.
Si tratta di un fungo parassita del mais che viene cucinato in vari modi, ha un sapore particolare di cui, sinceramente, non vado pazzo.
Da notare l'etimologia del nome nahuátl cuitlacochin, derivato da cuitlatl che, tradotto, suona come c...a. :-)
Un altro sempreverde della cucina messicana, in tutti i sensi, è il chile poblano, che a vedersi sembra un banale peperone verde, ma non è, soprattutto per il sapore leggermente piccante, protagonista di quasi tutti i chiles rellenos, i peperoncini ripieni di qualcosiasi cosa, formaggio, mais, crostacei, carne, ma anche come accompagnamento di tacos nella forma di rajas de chile poblano, cioé cotto a fuoco vivo, sbucciato e tagliato a strisce.
Il chile poblano è l'ingrediente fondamentale di un piatto tradizionalissimo, un piatto della stagione tra fine agosto e fine settembre, i chiles en nogada, che doña Maria Luisa ci ha appositamente conservato in vista del nostro arrivo.
I chiles vengono riempiti con un picadillo, ossia un ripieno fatto di carne tritata, polpa d pesca, uvetta, pinoli e poi ricoperti da una salsa di noci e chicchi di melograno. Questo piatto è molto patriottico, i colori non sono casuali, sono quelli della bandiera.
Dopo di che, se vi avanza ancora spazio, potete buttarvi sui dolcetti tradizionali, cocadas, camotes, alegrias, calaveritas, turrones...
oppure fare un salto in pasticceria dove potrete gustare donas, trenzas, garibaldis de chocolate, rebanadas, conchas, roles de canela...
Insomma, voleva essere solo un piccolo assaggio delle possibilità offerte dalla cucina messicana, assai più variegata di quanto non appaia attraverso i menu dei sedicenti ristoranti messicani d'Italia, con pochissime eccezioni.
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